Recensione: The Gilded Age

Recensione Recensione: The Gilded Age - Locandina
La Serie New York, 1882: la giovane Marian si trasferisce dalle zie a New York e incontra la dura realtà dell'alta società. La trama segue Marian Brook (Louisa Jacobson), una giovane donna proveniente dall'entroterra Pennsylvaniano, costretta a co...

La Serie

New York, 1882: la giovane Marian si trasferisce dalle zie a New York e incontra la dura realtà dell'alta società.

La trama segue Marian Brook (Louisa Jacobson), una giovane donna proveniente dall'entroterra Pennsylvaniano, costretta a confrontarsi con la rigida etichetta newyorkese quando si trasferisce presso le zie Agnes van Rhijn (Christine Baranski) ed Ada Brooke (Cynthia Nixon). Tra balli sontuosi, matrimoni combinati e lotte politiche, Marian dovrà destreggiarsi nell'alta società, incarnata magnificamente dai Russell, famiglia aristocratica decaduta oppressa dal peso del passato, e dagli indomiti George e Bertha Russell (Morgan Spector e Carrie Coon), rappresentanti del nuovo potere finanziario americano. Questa miscela esplosiva è ben calibrata, riuscendo a dosare sapientemente dramma, commedia e pathos, risultando fresca e avvincente sin dalla prima puntata. I temi trattati sono moltiplici e stratificati; innanzitutto, spicca quello della mobilità sociale, declinata sia in senso ascendente (Marian cerca il proprio posto nel mondo) che discendente (i Russell emergono economicamente a discapito dei nobili van Rhijn): entrambe le prospettive mettono in discussione il concetto stesso di meritocrazia, soffermandosi su quali sacrifici richiedano davvero successo e prestigio. In secondo luogo, emerge la condizione femminile, raccontata tramite figure come Peggy Scott (Denée Benton), brillante giornalista afroamericana alla continua ricerca di opportunità professionali, o Clara Barton (Johanna Day), cofondatrice della Croce Rossa Americana, icona di determinazione e coraggio. Infine, viene approfondita la dicotomia tra vecchia America (simboleggiata dai van Rhijn) e Nuova America (incarnata dai Russell), due visioni antitetiche che inevitabilmente entreranno in collisione. Il lavoro dietro la macchina da presa è encomiabile: Julian Fellowes ("Downton Abbey") dirige con mano ferma questo intricato balletto di personaggi, valorizzando il talento degli interpreti e plasmando scene degne di un dipinto impressionista. La fotografia è satura, curata nei minimi dettagli, quasi a volersi fare beffe dello squallore presente altrove nello show; parallelismi illuminanti possono instaurarsi tra i luminosissimi interni borghesi e le buie stanze operaie, suggerendo un'analogia tra splendore formale e vuoto sostanziale. L'uso sapiente di campi lunghi e totali permette di contestualizzare adeguatamente i protagonisti dentro scenari tanto grandiosi quanto asfissianti, mentre primi piani ravvicinati comunicano intensità drammaturgica ed empatia verso i sentimenti provati dai vari personaggi. Parlando di attori, spiccano certamente Christine Baranski e Cynthia Nixon, abili a conferire sfumature complesse alle severe zie Van Rhijn, e Morgan Spector e Carrie Coon, perfetti nel ruolo dei novelli imprenditori rampanti pronti a tutto pur di scalare la piramide sociale. Tuttavia, è necessario menzionare anche Louisa Jacobson, giovanissima interprete di Marian Brook, capace di equilibrare fragilità e grinta, dolcezza e fermezza, dimostrandosi così punto focale ideale per questa girandola di eventi. I rapporti tra i diversi caratteri sono intriganti: ammirazione mascherata da rivalità, ostilità celata da gentilezza, attrazione repressa da convenzionalismo... Ogni dialogo sembra nascondere più di quanto mostra, creando suspense narrativa ed empaticità verso i numerosi archi evolutivi. L'impatto emotivo deriva soprattutto dalla capacità di toccare tasti sensibili legati alla nostra epoca: ingiustizia sociale, disparità economica, limiti posti al progresso individuale. Ci sentiamo coinvolti poiché assistiamo a situazioni che rimandano direttamente al nostro quotidiano, facendoci porre domande spinose circa identità, ambizioni personali e preconcetti radicati. Non mancano momenti di catarsi, specialmente durante sequenze finali dove tensioni accumulate deflagrano violentemente, gettando luce sulle ipocrisie imperanti. Quanto all'originalità, bisogna ammettere che la formula utilizzata non sia propriamente innovativa: serial incentrati sulla vita dell'alta società non mancano certo nel panorama seriale internazionale. Eppure, "The Gilded Age" brilla per accuratezza storica, credibilità psicologica e padronanza registica, distinguendosi nettamente dai competitor. Lo fa prendendo le mosse da archetipi consolidati (la ragazza ingenua, il patriarca tirannico, etc.), per poi sovvertirli gradualmente, apportando modifiche sostanziali atte a sorprenderci e stimolarci continuamente. Per concludere, possiamo affermare che "The Gilded Age" sia una produzione notevole sotto molteplici aspetti, colmando un vuoto nel vasto mare dei period drama. Essa si configura come un osservatorio privilegiato dal quale scrutare noi stessi, interrogandoci sul valore effettivo di quei parametri cui tendiamo a conformarci acriticamente. Riflettere criticamente sul passato può servire da monito per il futuro: è questo il messaggio che vorremmo ricevere guardando una serie TV? Se la risposta è positiva, beh, non vi resta che gustarvi "The Gilded Age".

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Domande frequenti su Recensione: The Gilded Age

Dove posso vedere Recensione: The Gilded Age?

La serie è disponibile su Netflix e Prime Video.

Quante stagioni ha Recensione: The Gilded Age?

La serie ha 2 stagioni disponibili.